Domande e consigli utili
Quando un genitore ha la percezione che suo figlio sia in ritardo nello sviluppo del linguaggio è opportuno effettuare da subito una valutazione logopedica e/o neuro e psicomotoria per indagare le reali abilità comunicative, linguistiche espressive e recettive del bambino.
Compito del terapista sarà fornire indicazioni alla famiglia sul percorso diagnostico da intraprendere, dare consigli su come stimolare e sostenere il corretto sviluppo del linguaggio e valutare la necessità di programmare un trattamento terapeutico oppure dei controlli periodici per monitorare lo sviluppo delle abilità linguistiche nel tempo.
La seconda infanzia (3-5 anni) è il tempo in cui è importante che il bambino acquisisca un linguaggio adulto che sia di supporto ai futuri apprendimenti scolastici.
Pertanto, se durante gli anni della scuola dell’infanzia, il bambino presenta difficoltà nell’esprimersi tramite il linguaggio verbale o nella comprensione dello stesso, è opportuno effettuare una visita foniatrica o neuropsichiatrica ed una valutazione logopedica. Il logopedista ha il compito di indicare l’iter diagnostico da seguire, effettuare un’accurata valutazione della abilità linguistiche del bambino e dare i consigli del caso ai genitori.
Le abitudini viziate sono comportamenti fisiologici in una data fascia d’età che, se protratti nel tempo, possono portare danni allo sviluppo degli organi del cavo orale quali denti, palato e mandibola. Tra i vizi orali più comuni ricordiamo: l’uso protratto del biberon oltre il periodo di svezzamento, il succhiamento del ciuccio e del dito, la masticazione di penne (lapisfagia) e delle unghie (onicofagia).
E’ importante eliminare precocemente tutti i vizi orali nel corso della prima infanzia (0-24 mesi) in quanto una loro persistenza può avere come conseguenze alterazioni morfologiche del cavo orale (mal occlusioni, palato ogivale, ect) e delle funzioni orali tra cui difficoltà di articolazione (dislalie) e la permanenza di una deglutizione infantile in età adulta.
A qualsiasi età un bambino cominci a balbettare, per avere un aiuto mirato ci si può rivolgere al logopedista che, tramite una valutazione delle abilità comunicative del bambino, saprà dare indicazioni sul problema e consigli ai genitori. Un’accurata valutazione potrà permettere di conoscere variabili legate alla balbuzie (“disfemia”), che ne influenzano sia la natura (psicogena o altro), sia la durata (balbuzie temporanee o croniche). Tali variabili condizioneranno in modo determinante il percorso da intraprendere.
I DSA sono un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano solamente nell’acquisizione delle abilità scolastiche quali la lettura, la scrittura e il calcolo.
Ne esistono quattro tipi che variano in base alla tipologia di difficoltà riscontrata e all’area dell’apprendimento interessata dal disturbo (Dislessia-lettura; Disgrafia e Disortografia-scrittura; Discalculia-calcolo)
Un alunno con DSA imparerà a leggere, scrivere e fare i calcoli, ma tali compiti risulteranno per lui molto faticosi in quanto, non riuscendo ad automattizzarli, gli richiederanno sempre un impegno al massimo delle sue capacità e delle sue energie attentive e cognitive.
In Italia questi disturbi coinvolgono circa il 3-5% della popolazione scolastica; si parla di uno-due elementi con DSA per ogni classe.
Se un bambino/ragazzo ha difficoltà nell’apprendimento della lettura e si vuole accertare che sia dislessico è necessario richiedere una valutazione specialistica presso la propria ASL di appartenenza (Servizio di Neuropsichiatria Infantile o Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile o di Neuropsicologia) o presso strutture private autorizzate a rilasciare diagnosi.
Quest’ultima viene effettuata da specialisti mediante specifici test, non prima della fine della seconda elementare. Tuttavia, se già in prima elementare, il bambino presenta qualche difficoltà in lettura e scrittura è consigliabile effettuare una valutazione poiché i test possono segnalare anche la presenza di una prestazione del bambino “a rischio”. In questo caso si potranno intraprendere subito interventi di recupero e potenziamento che aiuteranno il bambino nell’acquisizione delle competenze scolastiche anche se per la diagnosi definitiva si dovranno aspettare gli otto anni.
NO.
Un bambino che presenta difficoltà di lettura durante il corso della prima elementare non può, ma soprattutto non deve essere definito dislessico in quanto non ha ancora completato il percorso formativo relativo alla lettura e può presentare semplicemente una modalità d’apprendimento con tempi diversi rispetto ad un suo compagno. Non è detto quindi che si tratti di un Disturbo Specifico di Apprendimento per la cui diagnosi occorre attendere almeno fino alla fine della seconda elementare.
Assolutamente sì! Dislessia e Discalculia sono 2 dei 4 Disturbi “Specifici” dell’Apprendimento scolastico che interessano competenze distinte tra loro (lettura e calcolo).
Ne esistono quattro tipi che variano in base alla tipologia di difficoltà riscontrata e all’area dell’apprendimento interessata dal disturbo (Dislessia-lettura; Disgrafia e Disortografia-scrittura; Discalculia-calcolo). Un soggetto può presentare uno solo di questi disturbi o più disturbi contemporaneamente.
Più che di ereditarietà bisognerebbe parlare di famigliarità del DSA. Questi disturbi hanno una base neurobiologica ovvero sono la manifestazione di un funzionamento neurobiologico specifico che si trasmette geneticamente.
Tuttavia non sempre è così, la familiarità con i DSA non è sempre accertata. Vi sono numerosi casi in cui il bambino dislessico è il primo componente della famiglia a presentare questa peculiarità.
Non è stato identificato alcun "gene disprassia". Tuttavia, molti genitori di bambini che hanno la disprassia possono identificare un altro membro della famiglia con analoghe difficoltà: siccome la disprassia è più spesso presente nei ragazzi che nelle ragazze, questo può essere un padre, un nonno, uno zio o un cugino. A volte, durante i colloqui di valutazione, i padri si rendono conto che hanno avuto difficoltà simili a quelle del loro figlio. Dovranno allora ripensare le proprie esperienze di vita mentre sostengono anche il loro bambino e il loro partner.
Ragu Lingham (2009) ha concluso nella sua ricerca che esiste un fattore di rischio ereditario con difficoltà di coordinazione motoria; Michele Lee e Sue Yoxall trovano nel loro studio (2007) che nel 32% dei casi viene riportata una storia familiare di disprassia o di difficoltà di coordinazione motoria.
Il disturbo dello spettro autistico può causare una serie di problemi e sintomi nell'interazione sociale, nell'immaginazione e nella comunicazione. Gli individui con disturbo dello spettro autistico possono inoltre presentare difficoltà in altre aree di sviluppo, incluse difficoltà fisiche e cognitive.
I sintomi, che compaiono di solito negli anni pre-scolari, si differenziano per ogni individuo e possono variare da lievi a gravi.
Le difficoltà più comuni sono:
- Difficoltà a comprendere la lingua, le emozioni e le informazioni non letterali;
- Ritardo di linguaggio;
- Difficoltà di coordinazione motoria;
- Ecolalia (parole o frasi ripetute);
- Routine o comportamenti ripetitivi, ad es. ripetere azioni o seguire le routine ossessivamente;
- Difficoltà con le informazioni sensoriali (luci, suoni, tessuti).
Alcuni esempi:
Questo tipo di terapia risulta efficace sia con adulti che con bambini e adolescenti per il trattamento di disturbi d’ansia e attacchi di panico, fobie, disturbo Ossessivo-Compulsivo, depressione, disturbi del comportamento alimentare, disturbi del sonno, dipendenza da alcol, droghe, dipendenza affettiva, dipendenza sessuale e da internet, gioco d’azzardo patologico, disfunzioni sessuali, disturbi di personalità e, associata ad un adeguato trattamento farmacologico, il disturbo bipolare e la schizofrenia.
Inoltre, le tecniche cognitivo-comportamentali possono essere utilizzate in caso di difficoltà relazionali in vari ambiti (coppia, lavoro, famiglia) e in percorsi di crescita personale volti allo sviluppo dell’autostima, dell’autoefficacia, dell’assertività, delle abilità di problem solving e di fronteggiamento dello stress.
La Terapia Cognitivo Comportamentale prevede l’assegnazione di alcune attività che il paziente deve svolgere tra una seduta e l’altra: gli homework. Si tratta di prescrizioni che coinvolgono l’aspetto comportamentale, cognitivo ed emotivo, parte integrante dell’intervento terapeutico, e sono personalizzate per ciascun paziente in modo da risultare utili e piacevoli.
L’intervento terapeutico viene attuato sulla base dell’obbiettivo da raggiungere e delle caratteristiche del problema da risolvere. L’intervento viene adattato all’obiettivo da raggiungere e ad ogni singola persona, famiglia e contesto socio-culturale di applicazione, che sono di per sé unici e irripetibili, nella interazione con sé stesso, con gli altri e con il mondo.
Negli anni sono stati perfezionati molti protocolli specifici di trattamento per problemi come gli attacchi di panico, l’agorafobia e la claustrofobia, l’ipocondria, i disturbi ossessivi e quelli ossessivo-compulsivi, quelli sessuali e per le principali forme di disordine alimentare come l’anoressia, la bulimia e il vomiting. Il cambiamento strategico è efficace quando mette la persona in condizione di gestire in prima persona le esperienze che la vita le propone molto rapidamente.
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